LETTERA PASTORALE DEL VESCOVO – Il commento divergente di due giovani amici: uno crede e l’altro no
Giovedì 7 settembre è uscita sul Risveglio la lettera pastorale del Vescovo Edoardo per l’anno 2017-2018. Largo spazio viene dedicato al mondo giovanile. Clicca qui per leggere la lettera. Qui sotto il commento di due giovani amici.
Mi è stato chiesto un commento alla lettera pastorale del Vescovo in quanto giovane credente.
Non è certo stato facile, specie sapendo che qua di fianco vi scrive un mio caro amico, compagno di studi e collega di lavoro che rappresenta invece il punto di vista dei giovani non credenti.
Ci ha accomunato la scelta del percorso di studi, siamo entrambi ingegneri meccanici e condividiamo ogni giorno la routine dell’ufficio e del lavoro da impiegati. Ci siamo supportati a vicenda durante le interminabili sessioni esami e abbiamo condiviso la gioia di veder ripagati i nostri sforzi quando abbiamo entrambi trovato lavoro prima ancora della laurea a pieni voti.
Ci siamo anche trovati a parlare diverse volte di argomenti ben più seri delle banali chiacchere da macchinetta del caffè ma di certo una cosa proprio non la condividiamo ovvero la fede in Gesù Cristo, morto e risorto duemila anni fa per salvare la mia e la sua vita.
Una fede che per me dà senso alla vita, che mi spinge a puntare in alto e a non accontentarmi di “vivacchiare”. Una fede che mi rende un giovane in cammino, che è chiamato ad amare e a donare la vita per gli altri seguendo l’antico esempio di un uomo che a Gerusalemme morì in croce per tutti noi. Un amore che vuole essere generosità e solidarietà, dialogo e ascolto, che vuole essere un costruire ponti e non muri. Questo è quello che spesso Papa Francesco ci ricorda.
Eppure, come ci ricorda il vescovo Edoardo, questi stessi desideri spesso sono presenti anche nel cuore dei giovani “lontani”. Spesso mi sembra di essere circondato da ragazzi che domande sulla vita proprio non se le pongono, che non sembrano voler cercare nessun valore nobile per cui valga la pena vivere e che sembrano affrontare la vita con una banalità disarmante.
“Il mondo interiore di tanti giovani, ad un primo sguardo, può apparire povero, dominato da interessi di poco conto, appiattito sulle dimensioni dell’effimero e del banale. Ponendosi in ascolto e parlando con essi, si constata invece che non è assente, spesso, la ricerca di Dio.”
Condivido a pieno questa riflessione del Vescovo. Certo questi giovani non ammetterebbero mai e poi mai che quello che stanno cercando è Dio. Ma la ricerca di una Pienezza di vita e di una Speranza che illumini le tenebre lungo il cammino dell’esistenza è presente nel cuore di tutti, anche nei più aridi.
Ecco perché dice bene il vescovo quando sottolinea l’importanza cruciale che ha l’educazione dei giovani. L’educazione e la formazione personale devono rivestire un ruolo importante proprio per non sprecare questa grande sete di risposte che ognuno porta nel cuore.
Il Signore ha così tante risposte che attraverso la sua Chiesa possono raggiungerci; ripensare a come le nostre comunità parrocchiali si pongono nei confronti dei giovani diventa essenziale. Non posso negare che molte volte io capisca perfettamente i giovani che si allontanano. Vedono un mondo fatto di regole, riti, tradizioni e spesso di credenze che somigliano più a gesti scaramantici che atti di fede. Quanto sarebbe bello poter far cadere i loro giusti pregiudizi per portarli al cuore e al significato profondo di tutte queste cose. Ma se mancano persone da prendere come esempio non possiamo certo stupirci di quanti giovani siano sempre più lontani.
“La persona cresce se incontra qualcuno più grande che le indichi il cammino”
dice il Vescovo e non allude certo all’età. Il mondo ci chiede di essere credibili e coerenti oltre che credenti. Come il nostro Papa Francesco, che tanto piace e viene ascoltato anche dalle persone atee perché parla con l’autorevolezza dell’umile, semplice ma concreto esempio di vita che ogni giorno ci dona.
Luca
Sono un giovane siciliano di 25 anni e svolgo la professione di ingegnere meccanico a Torino. Mi sono offerto gentilmente di dare un mio punto di vista, quale giovane ateo, sulla lettera pastorale che tratta la tematica dei giovani.
La sezione della lettera che ha attirato maggiormente la mia attenzione è la seconda (punto b) in cui si parla del rapporto fra giovani e chiesa e in particolare di come pochi ragazzi siano presenti nelle comunità pastorali, di come molti si siano allontanati da esse dopo aver ricevuto i sacramenti o di come addirittura alcuni non li abbiano nemmeno ricevuti.
Ovviamente non posso parlare a nome di tutti, ma posso esporre la mia personalissima esperienza che mi ha portato ad abbandonare la chiesa e il mio pensiero in merito a questo tema.
Come è ben noto, nel Sud Italia la percentuale di popolazione cattolica è molto elevata per cui io come tutti gli altri miei conterranei ho ricevuto il primo sacramento a soli 3 mesi, quando ancora non ero capace di intendere e volere; come da tradizione siciliana ho seguito il catechismo a partire dall’età di 8 anni e ho ricevuto il sacramento della comunione. A quel punto mi sono allontanato definitivamente dalla chiesa poiché per un ragazzino dinamico come me, quelle attività risultavano molto noiose e sottraevano molto tempo all’attività sportiva che praticavo. In più studiando a scuola le crociate, il medioevo (momento storico in cui veniva ostacolata ogni forma di innovazione scientifica) e tanto altro, ho capito come la chiesa avesse degli ideali molto diversi dai miei. Nonostante ciò, continuavo a credere in un’entità sovrannaturale ma non credevo più nella chiesa. A partire dai 18 anni invece mi sono allontanato definitivamente anche da questa idea, forse coadiuvato dalla forte passione che avevo e ho per la scienza, la quale si poneva in netto contrasto con la religione.
Infatti ho sempre cercato di dare una spiegazione fisica a qualsiasi cosa mi accadesse, e li dove non riuscivo non gridavo al miracolo, ma semplicemente mi dicevo “ le nostre conoscenze scientifiche non ci hanno ancora permesso di spiegarci tutto”. Non ho mai avuto bisogno di rivolgermi ad un’entità sovrannaturale nei momenti di difficoltà, ma mi sono sempre risollevato da solo. Non ho mai avuto l’atteggiamento di sottomissione verso un Dio e sono in completo disaccordo alla frase che mi diceva mia mamma “fai del bene che Dio ti vede e ti fa andare in paradiso”. Secondo me ai bimbi bisogna insegnare a rispettare il prossimo perché è giusto cosi e non perché c’è qualcun altro che ti giudica e deciderà le tue sorti nel futuro.
In definitiva il mio pensiero è quello di lasciare libera ogni persona da qualsiasi sacramento finchè quest’ultima non avrà la maturità e la corretta istruzione per capire quale strada seguire. La fede in fondo non è un dono di Dio? Chi non riceve questo dono, non deve essere costretto a seguire degli ideali che non condivide. Ogni persona merita rispetto per le proprie scelte e per i propri ideali ma non deve mai porsi in un piano superiore agli altri convincendosi di essere dalla parte giusta.
Salvatore