Brillare, ascoltare e non temere sono i tre verbi che Papa Francesco ha indicato a noi giovani nell’omelia della Messa di chiusura della XXXVII Giornata Modiale della Gioventù, svoltasi a Lisbona dall’1 al 6 agosto 2023, che ha visto la partecipazione di circa 1,5 milioni di pellegrini provenienti da tutto il mondo. La Giornata Modiale della Gioventù costituisce un pellegrinaggio nato per volontà di San Giovanni Paolo II, al fine di radunare i giovani credenti, condividere la fede e fare esperienza dell’universalità della Chiesa. L’articolo riporta una rilettura dell’esperienza e delle risonanze degli autori, che hanno partecipato alla Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona con il gruppo della Diocesi di Ivrea.
Le catechesi: spunti di riflessione per alzarsi e partire
Assumendo Maria come modello, vogliamo alzarci e andare in fretta. La domanda che potrebbe sorgere spontanea è la seguente: cosa ci spinge ad alzarci e andare in fretta? Ognuno di noi, provando a guardare nella propria interiorità in un momento di silenzio, può accorgersi di avere un desiderio profondo di vita piena, che ha a che fare con il desiderio di amare e di essere amati. Per ognuno di noi questo desiderio può declinarsi nei modi più diversi a seconda delle nostre caratteristiche, della nostra storia, delle nostre passioni, della nostra unicità. Per alcuni capire come concretizzarlo nella quotidianità è più chiaro, mentre per altri, specialmente noi giovani, potrebbe non esserlo ancora. L’importante è il voler essere in un cammino di ricerca, in cui ci si chiede come applicare nella vita questo desiderio profondo, un desiderio che sicuramente non rimane solo per noi, ma ci mette in relazione con l’altro, come Maria che in qualche modo è spinta ad andare dalla cugina Elisabetta.
Potrebbe erroneamente sembrare che per partire occorre avere grandi progetti e compiere chissà quali gesta riconosciute dagli altri, ma non è così. Ognuno di noi può partire con le sue caratteristiche e la sua creatività nei propri luoghi e nella propria quotidianità attraverso piccoli gesti. Vogliamo condividere nel seguito un pensiero di dom Helder Camara (Helder Pessoa Camara, noto come dom Helder, è stato un arcivescovo cattolico brasiliano nato nel 1909 e morto nel 1999.), in cui si cerca di definire il partire e si fa notare che in questa azione non siamo da soli:
“Partire è anzitutto uscire da sé.
Rompere quella crosta di egoismo che tenta di imprigionarci nel nostro “io”.
Partire è smetterla di girare in tondo intorno a noi, come se fossimo al centro del mondo e della vita.
Partire è non lasciarsi chiudere negli angusti problemi del piccolo mondo a cui apparteniamo: qualunque sia l’importanza di questo nostro mondo l’umanità è più
grande ed è essa che dobbiamo servire.
Partire non è divorare chilometri, attraversare i mari, volare a velocità supersoniche.
Partire è anzitutto aprirci agli altri, scoprirli, farci loro incontro.
Aprirci alle idee, comprese quelle contrarie alle nostre, significa avere il fiato di un buon camminatore.
È possibile viaggiare da soli. Ma un buon camminatore sa che il grande viaggio è quello della vita ed esso esige dei compagni.
Beato chi si sente eternamente in viaggio e in ogni prossimo vede un compagno desiderato.
Un buon camminatore si preoccupa dei compagni scoraggiati e stanchi. Intuisce il momento in cui cominciano a disperare. Li prende dove li trova. Li ascolta, con
intelligenza e delicatezza, soprattutto con amore, ridà coraggio e gusto per il cammino.
Camminare è andare verso qualche cosa; è prevedere l’arrivo, lo sbarco.
Ma c’è cammino e cammino: partire è mettersi in marcia e aiutare gli altri a cominciare la stessa marcia per costruire un mondo più giusto e umano.”
L’ecologia integrale
Durante la mattinata del 2 agosto abbiamo partecipato alla catechesi tenuta del vescovo di Alessandria Guido Gallese sull’ecologia integrale, tema trattato nell’enciclica dal titolo Laudato sì (LS) di Papa Francesco.
Da un punto di vista concettuale, il termine ecologia non è inteso nel significato generico di una preoccupazione ambientale, ma in quello più profondo di un approccio ad un sistema complesso, ossia un insieme di elementi che interagiscono fra di loro. La comprensione di un sistema complesso richiede (per quanto possibile) di ricercare la relazione delle singole parti fra di loro e con il tutto. All’interno di un sistema complesso tutto è connesso e in relazione. Un esempio è costituito da un ecosistema, che è composto da organismi viventi e sostanza non vivente con la quale i primi scambiano materia ed energia in un luogo limitato (un lago, un prato, un bosco, savane, ecc.). Se ci si riferisce nello specifico ai problemi ambientali (riscaldamento globale, inquinamento, deforestazione, gestione delle risorse naturali, ecc.), allora si fa riferimento alla particolare relazione fra la società e la natura. Le ragioni per cui un luogo è inquinato sono connesse con il funzionamento della società e dell’economia. Pertanto, occorre trovare soluzioni integrali, che tengano in considerazione l’interazione fra componente sociale e componente naturale. Un vero approccio ecologico deve pertanto integrare la giustizia sociale con le proposte ambientali, al fine di “ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri” (LS, n.49). Alla luce di quanto detto, occorre comprendere che “Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura” (LS, n.139). Occorre quindi entrare in una prospettiva di dialogo.
A questo punto, ci si potrebbe chiedere cosa c’entra l’ecologia integrale con la fede e la spiritualità. Per rispondere a questa domanda, si può partire dallo stile di Gesù, indicato dal vescovo Guido Gallese come un new style, free style (uno stile nuovo e libero). Dio ci ha creati liberi perchè ci ama e, grazie a questa libertà, possiamo collaborare alla creazione di Dio con la nostra creatività e immaginazione. Che bello pensare che siamo tutti collaboratori di Dio. Lo stile di Gesù è qualcosa che ci deve far sentire liberi. Consideriamo ora una domanda provocatoria del vescovo Guido: fare la raccolta differenziata mi fa sentire libero? Effettivamente, differenziando i rifiuti non ci sentiamo così liberi, perché avvertiamo che una norma imposta dall’esterno ci vincola. Se conosciamo il fine di questa norma, allora questa potrebbe non pesarci più, perché sappiamo che stiamo agendo per l’ambiente. Tuttavia, il solo conoscere il fine fa rimanere la norma esterna a noi. Per poterla interiorizzare ed averla a cuore, occorre assumere uno sguardo contemplativo della natura (si pensi appunto a San Francesco d’Assisi), che ci porta ad immedesimarci in essa e a ringraziare per la sua bellezza. Occorre quindi “guardare e commuoversi” (Abitare poeticamente il mondo, Christian Bobin, scrittore e poeta francese) per percepire nella nostra interiorità la sofferenza del creato e, di conseguenza, agire. Quanto detto ci dà un’idea della spiritualità alla base dell’ecologia integrale. Importante è notare che si tratta di una spiritualità incarnata nella concretezza della vita, una contemplazione in azione.
“Facciamo un percorso, che sarà certamente incompleto, attraverso quelle questioni che oggi ci provocano inquietudine e che ormai non possiamo più nascondere sotto il tappeto. L’obiettivo non è di raccogliere informazioni o saziare la nostra curiosità, ma di prendere dolorosa coscienza, osare trasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo, e così riconoscere qual è il contributo che ciascuno può portare” (LS, n.19).
Quanto detto consente di integrare e comprendere davvero la portata di piccole azioni quotidiane come evitare il consumo di plastica o carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, avere cura dell’ambiente, spegnere le luci inutili, utilizzare il trasporto pubblico (se possibile), ecc. Se questi gesti partono da motivazioni profonde, non sono solo astratti doveri verdi, ma diventano atti d’amore per l’ambiente e per gli altri.
L’amicizia sociale
Dopo aver intuito che tutto è connesso parlando di ecologia integrale, nel secondo incontro rise up del 3 agosto, proposto dall’arcivescovo di Torino Roberto Repole, abbiamo riflettuto sulla fraternità e amicizia sociale (tema dell’enciclica Fratelli tutti (FT)), per esplorare più a fondo il legame che unisce tra loro tutti gli esseri umani, rendendoli fratelli e sorelle. “San Francesco, che si sentiva fratello del sole, del mare e del vento, sapeva di essere ancora più unito a quelli che erano della sua stessa carne. Dappertutto seminò pace e camminò accanto ai poveri, agli abbandonati, ai malati, agli scartati, agli ultimi” (FT, n.2).
L’arcivescovo ha innanzitutto posto l’attenzione sul fatto che spesso si fa esperienza di fraternità ferita o mutilata. Questo accade nei luoghi di guerra, di tragedie umanitarie dove bambini, donne e uomini vengono uccisi o sono in pericolo e offesi, ma può accadere anche, in modo diverso, nelle nostre relazioni con gli altri, nelle famiglie, a scuola, al lavoro o nelle nostre comunità. Inoltre, si corre talvolta il rischio di vivere la fraternità solamente all’interno del nostro piccolo gruppo di amici, di compaesani, di coloro che hanno le nostre stesse idee, senza preoccuparci di chi è al di fuori, di chi è altro rispetto a noi. Invece, la vera fraternità deve essere inclusiva e disposta al dialogo costruttivo anche nelle situazioni più difficili.
Oggi viviamo in un mondo globalizzato e interconnesso, in cui per molti giovani, purtroppo, i social network veicolano una comunicazione superficiale, basata sulla velocità che supera la capacità di giudizio e sul culto dell’apparenza. Questo ci fa sentire davvero fratelli e sorelle o più “prodotti di un mercato”? Durante la GMG, abbiamo fatto esperienza di fraternità e amicizia, grazie a relazioni basate su emozioni vere, sull’ascolto, sulla condivisione, sull’aiuto reciproco. Grazie alla relazione con l’altro, si cresce e ognuno conosce sé stesso maggiormente. Tutto questo non esclude che possano esserci stati momenti di tensione più difficili, che, tuttavia, possono essere risolti in un clima di rispetto e dialogo. Vogliamo portare e vivere nella nostra quotidianità questi elementi di fraternità.
L’arcivescovo Roberto ci ha ricordato proprio che la parte più bella di noi è quella che ci fa sentire vivi quando viviamo da fratelli e che, grazie alla fede e nella Chiesa, facciamo esperienza di fraternità, nonostante le difficoltà che a volte incontriamo. Si può essere fratelli anche senza essere amici, ma siamo comunque fratelli nella misura in cui riceviamo la vita. Anche nella Messa facciamo esperienza di fraternità, ascoltando la Parola e mangiando lo stesso corpo di Cristo, come una famiglia che si riunisce a tavola e condivide quanto vissuto nella giornata attorno allo stesso pane. Inoltre, è risultato interessante il paragone dell’arcivescovo della Chiesa con un frutto: nella mentalità comune ci riferiamo alla Chiesa guardando solo alla buccia (il Papa, i vescovi, sacerdoti, religiose e religiosi), ma è la polpa (tutti noi) a dare il nutrimento.
Come vivere quindi questa fraternità nella nostra quotidianità? Chiaramente non c’è una ricetta pronta. Ognuno di noi, con i suoi talenti e possibilità nel proprio contesto, deve cercare di incarnare la legge dell’amore di cui ci parla Gesù. Possiamo prendere come esempio la parabola del buon samaritano (Lc 10,25-37), che Gesù racconta per spiegare chi è il nostro prossimo. “La parabola ci mostra con quali iniziative si può rifare una comunità a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione, ma si fanno prossimi e rialzano e riabilitano l’uomo caduto, perché il bene sia comune. Nello stesso tempo, la parabola ci mette in guardia da certi atteggiamenti di persone che guardano solo a sé stesse e non si fanno carico delle esigenze ineludibili della realtà umana.” (LS, n.67). Infine, l’arcivescovo Roberto ci ha dato alcune idee concrete per vivere la fraternità, come per esempio il custodire o rinsaldare le amicizie profonde, prendersi cura di un amico, rimanere attaccati alla sorgente della fraternità, ossia la Parola di Dio e la preghiera, aprirsi all’altro per chi c’è oggi e chi ci sarà nel futuro.