PENTECOSTE: Tempo di R(I)ACCOGLIERE
La festa di Pentecoste, con cui si chiude il tempo di Pasqua, affonda le sue radici nella tradizione del popolo di Israele, dove quella di Pentecoste era la festa della mietitura, era la festa in cui ogni israelita si presentava di fronte a Dio per rendere grazie dei doni ricevuti: la gratitudine dopo il lungo tempo del lavoro della semina, l’attesa per mesi che il seme germogliasse, crescesse e il grano arrivasse a maturare, e poi la fatica del raccolto.
In questa sfumatura di “tempo del raccolto” proviamo a rileggere questo anno di Pastorale Giovanile diocesana, ripartendo dalla lettera del nostro vescovo Edoardo “Eucaristia: Parola e pane di vita”. Un raccolto dopo otto mesi, per guardare avanti insieme. Ricordiamo come seme di speranza la giornata diocesana degli operatori pastorali che abbiamo vissuto lo scorso 26 settembre in più zone della diocesi. In quell’occasione il vescovo ci ha invitato ad accogliere con fede ciò che la Parola di Dio ci suggerisce ogni giorno. In questa Pentecoste siamo chiamati a riscoprire che lo Spirito Santo, fonte dei diversi doni e carismi presenti nella nostra Chiesa diocesana, opera una notevole diversificazione dentro la comunità cristiana e al tempo stesso una profonda unità. La diversità di linguaggio, di doti, di sensibilità, di ruoli e di funzioni non è qualcosa che fa esplodere la Chiesa come esplose l’umanità mentre costruiva in modo presuntuoso la torre di Babele, ma qualcosa che, grazie all’azione dello Spirito, la consolida, la rende viva, bella, la fa corpo, la fa relazione d’amore a immagine della Trinità. Nella giornata diocesana degli operatori pastorali ci siamo impegnati a far emergere nelle nostre comunità, alla luce della Parola di Dio, le vere domande e i grandi interrogativi che abbiamo dentro in questo tempo e che l’esperienza della pandemia ha portato allo scoperto con più forza. Ci siamo detti che il periodo del “confinamento” (lockdown) non bisognava considerarlo come una parentesi da lasciare quanto prima dietro le spalle, ma dovevamo prenderci del tempo (senza perdere tempo) per interpretarlo e viverlo come un’occasione propizia per riprendere il cammino, per essere uomini e donne “nuovi”, rinnovati e rinfrancati, per accogliere con più generosità e disponibilità i doni di Dio. Richiamando quella giornata diocesana, abbiamo chiesto ad alcuni degli educatori di aiutarci a fare un po’ di sintesi. In oratorio a Strambino i loro interventi sono stati molto apprezzati da tutti e ci hanno offerto diverse proposte concrete per impostare questo anno pastorale, a partire dalle parole del nostro vescovo. I contributi che si possono rivedere sul sito cliccando sulle immagini qui sotto oppure cliccando qui. Li ringraziamo per la disponibilità. Abbiamo provato a “raccogliere” i frutti delle cose dette allora, verificando come è stato possibile attivare dei processi in alcune realtà giovanili diocesane. Abbiamo seminato: oggi si può iniziare a raccogliere qualcosa? Sappiamo che in questi mesi molti educatori non si sono scoraggiati e hanno accolto la “sfida”, impegnandosi con creatività, senza perdere di vista ciò che ci siamo detti all’inizio dell’anno pastorale.
Teresa, a Strambino siamo stati provocati dalla tua testimonianza sull’Eucaristia: l’hai definita come il “colpo d’ali” che ha dato una svota alla tua vita. In questo anno pastorale hai percorso un pezzo di strada in più, a che punto sei nel tuo cammino?
Sant’Agostino diceva: “In questo consiste la nostra vita: esercitarci col desiderio” (Ep. Gv. 4). Nonostante tutto, continuo a credere che c’è qualcosa, c’è Qualcuno che ogni giorno dà senso alla mia vita, che fa dire a chi mi sta accanto: vale la pena vivere! Ho sempre sognato di arrivare in cima al Cervino ma per far questo bisogna camminare. Ciò che ho provato a fare in questi mesi è continuare ad “esercitarmi col desiderio”, a camminare “in cordata” lungo il sentiero che porta alla vetta. L’ho fatto in semplicità e non senza fatiche, nella mia piccola comunità di Cerone, pregando con i giovani e per i giovani prima di ogni attività e iniziativa pastorale, e sto camminando con la forza della preghiera. Il sentiero è la preghiera che porta all’Eucaristia e anche per me, come direbbe il beato Carlo Acutis (ragazzo fantastico che ho imparato a conoscere quest’anno attraverso le proposte della Pastorale Giovanile diocesana), l’Eucaristia è diventata la mia “autostrada per il cielo”.
Samuele, nel passato incontro ti sei concentrato sul digiuno dall’Eucarestia che abbiamo tutti vissuto nel periodo del primo lockdown. Come educatore nell’oratorio di Strambino ti eri interrogato se quella mancanza nella tua vita potesse essere trasmessa ai ragazzi che segui come testimonianza per partecipare alla Messa in maniera non scontata: l’Eucarestia è un dono unico. Hai avuto modo in questi mesi di approfondire questo aspetto?
Il non poter partecipare a un momento che davamo per scontato come la Messa, mi ha molto interrogato effettivamente e in questi mesi mi sono convinto che anche i ragazzi più lontani, magari meno coinvolti nelle nostre realtà e comunità, possano essere raggiunti grazie al “digiuno”. Mi spiego meglio, abbiamo tutti quanti in questo periodo sperimentato una condizione umana di fatica: il digiuno da qualcosa. Il digiuno dagli amici, dallo sport, dal fare un’attività che ci fa stare bene, è stato certo un digiuno faticoso per tutti. E per molti giovani questo digiuno ancora non è finito, la fatica non si è esaurita, siamo ora più che mai in una barca in mezzo a una bufera. È compito nostro, con l’occhio della fede, saper indicare ai nostri ragazzi Colui “al quale persino il vento e il mare ubbidiscono” (Mc. 4,41), Colui che può guidare la nostra barca in mari tranquilli. A mio avviso questo può essere trasmesso con la gioia nel ritrovarsi, nel partecipare alla Messa, nel dire agli altri: “io vado a Messa perché so che è fondamentale per me continuare a far crescere il mio rapporto con il Signore. Come lo so? L’ho sperimentato con il digiuno”. Loro capiranno cosa intendo? Credo di sì, perché lo hanno sperimentato con tante altre forme di digiuno. Mi auguro che questo possa essere un primo punto di contatto per iniziare a dialogare, per iniziare a crescere insieme a loro, consapevoli di essere uniti da un aspetto meraviglioso: ogni essere umano ha bisogno di sentirsi amato. E c’è Qualcuno che ci ha amato tutti con “l’Amore più grande”: Gesù.
Letizia, come insegnante ed educatrice nelle realtà di Mazzè-Tonengo-Villareggia, ci hai parlato dell’importanza che riveste, in questo periodo di pandemia, la relazione educativa con i più piccoli. Riprendendo le parole dell’evangelista Matteo (cap. 9) avevi invitato tutti gli educatori a cercare il “vino nuovo” con cui riempire gli ” otri nuovi”. Hai avuto modo di osservare e approfondire alcuni passi significativi svolti in tale direzione?
Comincio col dire che i mesi passati sono stati per me, così come per molti altri educatori, sia un impegno che una sfida. Ci siamo trovati a dover fronteggiare difficoltà sempre diverse e improvvise: dalle nuove regole scolastiche, ai periodi di DAD (parziale o volta all’intero gruppo-classe); dai nuovi disagi/irrequietezze nati nei bambini a causa della pesantezza psicologica della situazione, alla mancanza di indicazioni chiare e precise per poter rispondere al meglio alle novità riscontrate. A partire da queste complicazioni, però, è sorta una “rinascita educativa”: abbiamo scoperto nel prossimo, nei colleghi, la forza per reagire con tenacia e resilienza a ciò che, in un primo momento, aveva destabilizzato ragazzini e adulti. Ho potuto sperimentare la forza creatrice che deriva dall’agire disinteressato, in comunione d’intenti, per il bene di terzi, in questo caso i più piccoli. É proprio in Dio che ho riscoperto la ricchezza insita nei due insegnamenti seguenti: donare senza pretendere nulla in cambio e trovare nell’altro una risorsa, non un limite. Concludo allora con un passaggio evangelico a me caro: “perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt. 18,18-20). Penso sia proprio in nome di Dio che si possano compiere quei piccoli passi capaci di smuovere una montagna, basta scegliere ogni giorno di provarci.
Andrea, ci hai parlato di come il mondo virtuale di internet fosse pane quotidiano dei ragazzi più giovani e di quanto, invece, fosse elemento estraneo della comunità pastorale. Sei educatore nella parrocchia San Giuseppe Lavoratore di Chivasso. Dopo svariati mesi la situazione è cambiata?
Assolutamente sì! Ovviamente non si può fare di tutta l’erba un fascio, ma ho avuto l’impressione che l’opinione generale riguardo il “mondo” internetsi sia evoluta. Abbiamo assistito ad un cambio di passo in questo senso. Per esempio tante iniziative diocesane (almeno per quanto riguarda il mondo giovanile) si sono svolte online in diretta e diverse realtà non hanno mai smesso di animare la collettività tramite proposte sui social network. Ho anche notato che diversi religiosi più “scettici” in materia hanno iniziato il loro percorso di avvicinamento a questi mezzi ormai imprescindibili nella vita quotidiana. La strada, però, è ancora lunga: che Gesù ci possa guidare, illuminandoci la via, anche su queste strade per noi nuove e impervie.
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